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Chi vince l’iron throne

Questa stagione di Game of Thrones ha fatto schifo, e su questo non ci piove. A differenza di molti non penso che abbia fatto più schifo della seconda stagione, ma può anche darsi che l’anno scorso avessi delle aspettative più alte che sono state deluse.

Il perché ha fatto schifo è facile capirlo: ci sono un gazilione di personaggi, non c’è alcuna costruzione degli episodi, il budget è da film di serie c e il coinvolgimento di Martin nella realizzazione rende impossibile cambiare questo schema (cosa che non farebbero comunque visto che per qualche strana ragione la serie continua a piacere alla gente). Ma non è di questo che volevo parlare.

Il problema nuovo che ho con questa serie è che mi sta facendo perdere fiducia nel materiale di partenza. Dalla scorsa stagione all’inizio di questa il mio mantra era “Game of Thrones è tutto sommato ancora figo da guardare, ma è il modo meno figo per raccontare questa storia”. Ed è ancora vero più o meno: una realizzazione migliore aiuterebbe sicuramente la serie, ma più si va avanti con la trama più penso che il mio problema sia anche la storia che c’è dietro.

Io non ho letto i libri. All’inizio perché la prima stagione era talmente figa che non volevo rovinarmi le varie sorprese, ora probabilmente li recupererò ma a me solitamente le cose troppo frammentate non piacciono (tipo l’ombra dello scorpione, bello eh ma troppo troppo frammentato) quindi non prometto niente. Sono sicuro che sui libri lo storytelling funzioni molto meglio che sulla tv, ma da quello che ho visto (e ora siamo a metà del terzo libro con la serie) non mi sembra ci sia mai un vero progresso della trama.

E sapete perché? Perché Game of Thrones, in fin dei conti, è una Royal Rumble.

Chi non è molto afferrato col Wrestling (ma che infanzia avete avuto?) ecco cos’è una Royal Rumble: c’è un titolo in palio, che chiameremo per il lol “Campione di WesterosMania”, e i partecipanti salgono un po’ alla volta sul ring. Chi viene buttato fuori dal ring, è eliminato. L’ultimo che rimane vince.

Questo è esattamente quello che sta succedendo da tre stagioni a questa parte. È morto il campione in carica e c’è gente che combatte per il titolo. Tutti quelli che noi chiamiamo plot twist, TUTTI, non solo altro che gente che viene eliminata. E non contano un cazzo perché vengono immediatamente rimpiazzati da altra gente che sale sul ring.

È successa una cosa importante nell’ultimo episodio. Una di quelle cose che i lettori ti dicono “aspetta le nozze rosse, vedrai” ridendo sotto i baffi e tutti noi poveri mortali siamo qui che ce la facciamo addosso prima di vederla. Sapete perché? Perché non sai cosa succederà, ma sai che morirà qualcuno. PERCHÈ MUORE SEMPRE QUALCUNO. PERCHÈ È L’UNICA COSA CHE PUO’ SUCCEDERE A GAME OF THRONES PER PORTARE AVANTI LA TRAMA.

E’ uno schema ripetitivo, noioso, che io non posso accettare.

E quindi chi vince la Royal Rumble? Ancora prima di leggere i libri, ancora prima che Martin finisca di scriverli, ci si può arrivarci col ragionamento: O Daenerys o Jon Snow. Perché sono gli unici due che non sono sostituibili con altri personaggi di casate di cui non si sapeva l’esistenza fino ad un momento prima. Una ha i draghi, l’altro ha il destino. Considerando com’è fatto Martin, io punto su Dany.

Per come la vedo io, troppo comodo.

3 seasons and a movie

veronica mars film kickstarter

Come dovreste già sapere tutti, per lo meno voi lettori immaginari, l’anno prossimo ci sarà un film di Veronica Mars. Visto che tutti stanno dando la loro opinione sulla cosa e io non scrivo un post da mesi (eh.. gli esami.. il non avere niente da dire..) scrivo anch’io la mia opinione.

Come probabilmente sapete il film di Veronica Mars sarà finanziato non da una casa di produzione ma dai fan, attraverso kickstarter. È probabilmente il progetto cinematografico più grande e importante che abbia mai usato il crowdsourcing, infatti l’obbiettivo era parecchio grande: 2 MILIONI di $. L’hanno raggiunto in 11 ore.

Al momento sono arrivati a 2.5equalcosa e facciamoci una fotografia mentale perché io scrivo troppo lento per stargli dietro. È una cifra enorme, ma lo è davvero? Ma davvero davvero?

Uhm, facciamo due calcoli. Per comodità facciamoli su quelli attuali: 2.525.587 dollari raccolti con 41.239 persone. Se la statistica non mi inganna, ma quella puttana di statistica mi inganna spesso, la media aritmetica è 2.525.587/41.239=61.24$. 10 dollari in meno della media generale di kickstarter (71$), ma la media in questo caso “non descrive bene il fenomeno” (per dire: la somma del denaro donato dalle 7 persone che ne hanno donato di più è uguale a quella dei 6000 che hanno donato solo 10$). La mediana (che non sto qui a spiegarvi come si fa che non sono per niente sicuro delle mie conoscenze statistiche) cade nella classe dei 35$ e mi sembra un po’ più affidabile: vuol dire sostanzialmente che il primo 50% di quelli che ha donato sta fino ai 35$ e l’altro 50% oltre i 35$.

E qui arriviamo al punto: la metà di quelli che hanno dato soldi per il film (circa 20.000) pagherebbe più di 35$, in alcuni casi anche molto di più, pur di vedere un film di Veronica Mars. 20.000 pazzi direte, in fondo 35$ sono tipo 5 dvd su amazon, ma anche no. Primo perché Veronica Mars ha una fanbase molto grande, di cui gran parte probabilmente nel 2004 era adolescente e ora sta lavorando quindi ha reddito da spendere. Secondo perché c’è sta cosa che si chiama long tail (formulata su altro ma in pratica spiega TUTTO l’internet) che dice sostanzialmente “su internet trovi sempre qualcuno disposto a comprare qualcosa”. Ragion per cui Rob Thomas può mettere un premio da 10.000 dollari e c’è qualcuno disposto a pagarli, e se ne mettesse uno da 20.000 prima o poi salterà fuori qualcuno disposto a pagarli.

È proprio grazie alla long tail che secondo me questo meccanismo è ripetibile anche senza la fanbase di Veronica Mars, perché l’internet è pieno di pazzi. Senza andare lontano ieri Gothic diceva che per un film su Terriers (yes please) era disposto a vendere anche il dente d’oro di sua nonna (e conoscendolo potrebbe tranquillamente fare sul serio). Terriers avrà un decimo della fanbase di Veronica Mars, ma vuoi che su internet non si trovano un centinaio di pazzi come Gothic disposti a vendere un rene pur di ottenerlo?

Che poi, parliamone, 40.000 persone che danno i soldi per resuscitare una serie tv non sono niente. Seriamente, wikipedia dice che l’episodio meno visto di Veronica Mars ha fatto 1.62 MILIONI di spettatori. Considerando quindi anche solo quel dato senza tutte le repliche e syndacation e netflix viene che 40.000 donatori sono meno del 2,5%. È il bello della tv: fa numeri che internet, per la sua struttura molti a molti, non sarà mai in grado di fare. Prendi anche qualcosa di conosciuto, virale e di qualità come la web series The Lizzie Bennet Diaries: il primo episodio ha meno di 900.000 visualizzazioni, un qualunque pilot broadcast lo batte facilmente.

1.62 MILIONI di spettatori è niente in tv, rischio cancellazione ovunque (tranne forse la NBC che è un morto vivente), ma su internet anche solo una piccola percentuale di quegli spettatori riesce a raccogliere 2 MILIONI E MEZZO in meno di 24 ore. È questo il valore che bisogna cominciare a dare ai numeri e che ancora la gente non riesce a capire. Prendiamo ad esempio una serie a caso: Community.

Community al suo minimo, senza Harmon e nello slot più difficile della tv fa 1.1 MILIONI. Un niente per la tv generalista, ma ha probabilmente la fanbase più forte di sempre: sicuramente più di Veronica Mars, secondo me anche più di Firefly. Fai un kickstarter per un film su Community, quanto pensate ci metta ad arrivare a due milioni? Sono anni che dico che Community è una miniera d’oro e nessuno mi ascolta, perché avere 1 MILIONE di persone disposta a tutto per vederti vale molto di più di qualunque rating. Avere una fanbase del genere e puntare a fare i soldi con la syndacation vuol dire non aver capito un cazzo di niente. Tutti ormai si rendono conto che il metodo di fruizione delle serie tv è cambiato con l’internet, vediamo quanto ci mettono a capire che anche il metodo di produzione delle serie tv può cambiare.

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Paliamo delle olimpiadi

Per la serie “sempre sul pezzo” oggi parliamo delle olimpiadi, finite settimana scorsa e che hanno lasciato un vuoto nel mio cuore paragonabile a quello di Giugno dopo tutti i season finale delle serie tv.

Ora io non vi dirò che uno dei miei primi ricordi sono le olimpiadi del ’92, perché probabilmente non è vero (avrei avuto solo 2 anni andiamo, senza contare che la mia memoria fa schifo al cazzo) e non voglio dire una stronzata. Da Atlanta ’96 (coi suoi olimpini demmerda di cui trovavo sempre Otto il giavellotto) in poi me le ricordo tutte perfettamente invece. Comunque: in uno dei miei primi ricordi (probabilmente risalente ai mondiali del ’94) ci sono io seduto sul divano della nonna cattiva che guardo una gara del salto in lungo. E dopo un salto particolarmente lungo mia padre mi guarda e mi dice qualcosa come “ma lo sai quant’è? È come dalla porta fino al cancello”.

otto il giavellotto

È una cosa potentissima dire a un bambino che un tizio salta dalla porta fino al cancello, quello spazio che il bambino anche correndo ci mette tre secondi a coprire, perché l’unica cosa che il bambino può pensare è che quel tizio stia volando. In una biografia normale questo sarebbe il punto in cui il bambino dice al padre che “anch’io anch’io voglio saltare”, il bambino si allena un sacco e una ventina di anni dopo finisce per vincere l’oro alle olimpiadi. Non è questo il caso ovviamente, non avete idea di quanto fossi pigro e di quanto fossero pigri i miei genitori. In più io sono sempre stato una persona estremamente realista, quindi era inutile tentare tanto non avrei mai potuto volare. Realismo che mi ha portato dopo una ventina d’anni ad essere nella mia peggior condizione fisica di sempre, ma quello è un altro discorso. Ciò che è importante è che per quanto riguarda lo sport io sono rimasto quel bambino stupito a tal punto da non credere a quello che sta vedendo.

Quindi sì bello il calcio, bellissimo il basket, meno belli tutti gli sport che hanno una rete in mezzo al campo, ma per me gli atleti veri sono quelli che giocano coi limiti della natura umana. Poi anche se non riesci a fare il record del mondo fa niente: coso hai corso i 100 metri in 9.63, una persona normale non li fa neanche in bicicletta.

Il che ci porta ad un’altra considerazione: a me degli italiani alle olimpiadi non me ne frega assolutamente niente. Mentre nei mondiali di calcio mi risulta impossibile tifare per una nazione che non sia l’Italia, nelle olimpiadi io tifo sempre per l’atleta più forte. Poi oh, se l’atleta più forte risulta essere un italiano buon per lui. Se l’atleta più forte risulta essere francese, tifo per il secondo classificato.

Tra parentesi molto distanti tra loro, gli italiani questa olimpiade sono risultati i migliori praticamente soltanto nelle discipline in cui è più importante la tecnica dell’allenamento. Il problema secondo me non è che gli atleti italiani non abbiano voglia di allenarsi duramente ma che non abbiano la possibilità di farlo come vogliono, perché siamo così presi dal calcio che gli altri sport li notiamo una volta ogni quattro anni e quindi gli atleti non possono contare solo su quello per sopravvivere. Gli stati uniti invece hanno sì i loro sport, ma anche la ginnastica artistica ad esempio è molto seguita e non credo sia un caso che quest’anno loro hanno vinto quasi tutto in quella disciplina. Chiusa parentesi.

Dicevamo che non mi importa degli italiani, come non mi importa del medagliere e di chi ce l’ha più lungo. Alle olimpiadi a me importa degli atleti: quelli che vincono e piangono, quelli che perdono e piangono, quelli che si fanno male al primo ostacolo ma arrivano comunque alla fine su un piede solo e piangono. Fa niente se quell’atleta è nato lontanissimo da me e nel giro di una settimana non mi ricorderò più come si chiama, sono quel tipo di emozioni universali che tutti nel mondo in quel momento hanno provato.

Credo che le olimpiadi di Londra siano state le olimpiadi migliori che ho visto perché, un po’ come la penso io, hanno riguardate più gli atleti in generale piuttosto che per un popolo. Certo sono state comunque molto britanniche, ma a differenza della pomposità cinese e dell’orgoglio della Grecia la storia inglese è più o meno la storia del mondo. Bene o male tutti i popoli, chi prima o chi dopo, hanno subito il processo di industrializzazione che ha passato l’Inghilterra e che è stato riprodotto alla cerimonia d’apertura. E saranno anche nati in Inghilterra ma tutti i bambini del mondo hanno letto Peter Pan e Harry Potter. Danny Boyle con quella cerimonia di apertura è riuscito a far vedere quanto c’è di britannico nella vita di tutti i giorni, ma contemporaneamente a dire che non importa dove si è nati visto che comunque (tranne casi eccezionali) abbiamo passato più o meno tutti la stessa storia.

È una cosa che ora, ma probabilmente per ancora molti anni a venire, può riuscire solo agli inglesi; perché sono quel tipo di popolo che ha il coraggio di mettere tutti gli atleti delle olimpiadi in uno stadio formando una Union Jack di tutti i colori delle popolazioni del mondo. E niente ci tenevo a scriverlo, perché se lo meritano e da quel poco che s’è visto alla cerimonia di chiusura di Rio 2016 ci mancherà un sacco tra quattro anni.

The Hunger Games: Libro vs Film vs Battle Royale

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The hunger games in parole povere è il nuovo fenomeno culturale che sta per colpire l’Italia da tre fronti: dalle librerie, dai cinema e dalle discussioni infinite sui forum per le somiglianze a prodotti già esistenti (tra cui ovviamente Battle Royale). Cercando per una volta di essere il più normale possibile (we’re gonna finally be fine) vorrei rimanere spoiler free per far capire a chi non lo conosce di cosa stiamo parlando e dare la mia opinione in modo che anche le persone come me abbiano qualcosa da leggere in questo post.

Il libro

The Hunger Games è, come un po’ qualunque altra cosa questo periodo, il primo romanzo di una trilogia (che probabilmente ha un nome ma non ho voglia di cercarlo). Io ho letto solo il primo quindi degli altri due (l’ultimo tra l’altro non è ancora uscito in Italia) per il momento me ne fregherò altamente.

the hunger games libro copertina recensione

Giudicare il libro di The Hunger games è veramente difficile: in primis perché è scritto male, veramente male, roba che all’inizio pensi di leggere per sbaglio una bozza dell’autrice. Scritto in prima persona presente, cosa già di per sé discutibilissima ma su cui più si va avanti più un po’ per abitudine un po’ grazie ai giochi si riesce a chiudere un occhio, praticamente consiste in una lunghissima descrizione dal punto di vista di Katniss di quello che succede: pochissimi dialoghi, descrizioni povere (come descriverebbe una sedicenne, con tutti contro possibili) e tante seghe mentali e problemi femminili. Ovviamente l’autrice (Suzanne Collins) è una donna e lo si capisce benissimo dalle pagine del libro che grondano pensieri che a un uomo non verrebbero mai in mente.

In secundis perché è commerciale, The Hunger Games è un romanzo scritto per fare successo: mondo post-apocalittico (check), ragazzi poveri che si ammazzano per il divertimento dei ricchi (check), protagonista carina-ma-non-bella, orfana, forte ma poco divertente (checkcheckcheck), triangolo amoroso (check) e così via. La storia non prende mai una piega inaspettata, si capisce come finirà il libro dopo 25 pagine. In effetti il concetto di spoiler per THG è abbastanza inadeguato, il libro ha due sequel: già questo è uno spoiler. Massimo rispetto per la scrittrice a cui è venuto in mente di mettere insieme tutti questi fattori già rodati di successo in un unico libro trasformandolo in una macchina da soldi (leggi: TEEN).

Eppure è un libro avvincente, ed è quel tipo di pregio che attenua molti difetti: la prima persona, una volta abituati (la svolta è all’inizio dei giochi più o meno), permette di concentrarsi esclusivamente su Katniss, che pur essendo un personaggio classico riesce a reggere da sola il romanzo; la descrizione continua e poco dettagliata rendono l’azione molto veloce e, nonostante non ci siano vere sorprese, non ci si annoia mai. Certo è un trucco che funziona solo con questo libro visto che 200 pagine su 270 sono di gente che si ammazza (la vedo dura per i sequel senza un cambio di registro) ma per il momento quello mi basta.

A fine libro la piacevolezza della lettura supera i difetti, quindi vi consiglio di leggerlo (magari in inglese come ho fatto io, tanto è veramente elementare ed è sempre utile per far pratica).

Il film

Il film The Hunger Games è uscito praticamente ovunque a fine Marzo, arriverà da noi il 1 maggio (in molti cinema in anteprima il 26, molti regalano anche i biglietti). Non ho idea del perché da noi arrivi un mese dopo che in Vietnam, ma penso che si voglia sfruttare il successo mondiale per lanciarlo prepotentemente anche in Italia, dove non mi sembra che i libri abbiano una gran base di fan.

the hunger games recensione katniss jennifer lawrence

oh, hai

È costato tra produzione e promozione un 120 milioni di dollari, veramente poco per un film del genere e molte volte si vede l’economicità della produzione (economicità assolutamente ingiustificata considerando che come tutti ci aspettavamo sta incassando tantissimo).

Katniss è interpretata da Jennifer Lawrence, che oltre ad essere tipo la ragazza più scema e adorabile dell’anno (vedere una qualunque intervista per credere) è anche stata candidata all’Oscar l’anno scorso per Winter’s Bone, candidatura abbastanza immeritata a mio parere ma basta guardare la gif a destra per sapere che la ragazza ha molto molto (molto) talento.

Il pregio maggiore del libro sta nel fatto che è la base perfetta per un film. Ragionando in questo modo il film che ne è venuto fuori toppa alla grande: è una trasposizione troppo fedele al libro che ne trattiene tutti i difetti riscontrati nella lettura e ne aggiunge di nuovi. Il punto di vista rimane solo quello di Katniss, le rare volte in cui si spostano altrove funzionano ma non aggiungono niente alla narrazione e servono più che altro a far capire cose a coloro che non hanno letto il libro. Il triangolo Katniss-Peeta-Gale, che nel libro è banale ma per lo meno gestito bene, è troppo centrale e sebbene gli attori siano tutti e tre molto bravi non convince per niente.

Il problema principale del film però è la gestione dei tempi: nel libro i giochi durano diverse settimane, nel film il passare del tempo non si sente. Manca la fame, manca la paura, manca il tempo (speso bene nel libro) per affezionarci a certi personaggi e situazioni. Senza queste cose il risultato è veramente deludente, il film non emoziona né esalta.

Diciamo che questo film è stato fatto un po’ come fu fatto Harry Potter e la pietra filosofale, solo che HP aveva una base di partenza molto migliore di The Hunger Games. Questo romanzo invece aveva bisogno di un lavoro alla Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (che invece non aveva bisogno di alcun lavoro, scusate ogni tanto devo lamentarmi del terzo film di HP).
È un peccato che il regista abbia scelto di andare sul sicuro (più che con la critica, coi fan) perché avrebbe potuto veramente essere una figata.

Battle Royale

Battle Royale è un film che cercatevelo su google, non ho voglia di spiegarvelo. Ciò che dovete sapere è che è un film Giappo (faccio notare che solitamente dico giappo-cino-coreano per indicare orientale, qui no. Ecco quanto è Giappo). I due film si assomigliano nella premessa ma lo svolgimento è completamente diverso, un po’ come se la professoressa Caprapal avesse dato il tema “la società costringe i ragazzi a uccidersi per il loro divertimento”: Battle Royale è lo svolgimento di Bart, The Hunger Games è lo svolgimento di Lisa (una Lisa Simpson improvvisamente incapace di scrivere e molto più bimbominkia).

Mentre in Battle Royale la storia (storia.. dieci minuti di spiegazione dell’insegnante a inizio film) è in funzione degli sbudellamenti di bambini, in The Hunger Games gli sbudellamenti servono come motore per far partire una storia ben più grande e complessa. Non è meglio, è diverso. Io tra i due preferisco l’idea di THG, ma Battle Royale è fatto meglio come film.

Il paragone più azzeccato secondo me è Rollerball (parlo di quello che conosco, cioè quello con Keanu Reeves JON-A-TON! JON-A-TON! JON-A-TON!) effettivamente molto simile a THG. Il problema è che volendo si possono trovare decine di similitudini di THG a prodotti esistenti, non cambierebbe il fatto che come prodotto ha vita propria in quanto ha preso alcune parti da ognuno.

Posso dirlo? A me di tutto ciò non frega niente, anzi se avessero copiato più pesantemente da questi film più adulti The Hunger Games sarebbe stato un filmone. Gli sbudellamenti non sono il punto fondamentale ma la violenza avrebbe dovuto essere molto più accentuata, solo che pur di rientrare nel pg13 (che va bene, altrimenti si sarebbero tagliati fuori una buona fetta di fan) hanno adottato un meccanismo vedo-non-vedo che fa decisamente schifo. Inoltre i giochi dovrebbero generare odio verso la capitale, ottima l’idea dei commentatori televisivi  in questo senso ma bisogna andare oltre: gente che intervista i fan dei giochi davanti ai megaschermi della capitale su chi vede favorito, scommettitori incalliti che esultano per l’uccisione di qualcuno in diretta televisiva, il tutto alla faccia della gente nei distretti che è in pensiero per i propri ragazzi. Questo avrebbe dovuto essere il film.

Ricapitolando il libro di The hunger games è non è gran letteratura ma si legge piacevolmente, il film è un occasione sprecata.

Un post del passato: addio scrubs

“Fina da piccolo ho sempre dormito a dispetto di tutto: tempeste sirene qualunque cosa.. la scorsa notte non ho dormito” JD i primi 10 secondi di scrubs
Vedete oggi non è solo un giorno qualunque. Ieri.. il 6 maggio 2009 è andata in onda negli stati uniti l’ultima puntata di scrubs..
chi di voi leggerà queste parole se mi conosce appena saprà che per me è la fine di un era.
Ho cominciato a vedere Scrubs in seconda media ed è stato sicuramente la cosa che ha caratterizzato di + la mia personalità, se sono ciò che sono ora buona parte del merito è sua; vedete mentre i credenti nel dubbio aprono la bibbia io guardavo una puntata di scrubs e vi posso assicurare che funziona, è incredibile ma ha questa innata capacità di riuscire a farti capire ciò che serve in quel preciso momento
è inutile continuare a elogiarlo.. chi lo conosce sa bene di cosa parlo, chi non lo conosce non ho intenzione di convincerlo a guardarlo ora dopo 8 anni
sta di fatto che prima di trovare il coraggio di guardare l’ultima puntata ho guardato 1 ora il desktop, avevo paura che rovinasse tutto come certi finali di film che ti fanno rimpiagere le 2 ore bellissime trascorse prima
fortunatamente questo non è successo, posso assicurarvi che il my finale è forse la puntata + bella che abbia mai visto, quando arriverà in italia vi prego di guardarla anche soltanto per scoprire come si chiama l’inserviente (si io lo so ora..)
e finisce così il + grande telefilm di sempre con la speranza di essere entrato nella storia dei telefilm, con la certezza che io ogni tanto guarderò in alto a destra a immaginarmi cose strane
addio scrubs, dammi un cinque mi mancherai